«Venite al Parco Archeologico di Venezia, uno spazio aperto per voi». È lo slogan con cui si chiude l’ultimo, provocatorio video ideato e realizzato da Venezia Morta, la realtà (non chiamatelo collettivo) di stampo futurista emersa dal web con un proprio Manifesto nel corso del 2020, dichiarando appunto la morte di Venezia avvenuta per mano dei veneziani stessi.
Rimasto sotto traccia per via dell’anonimato degli ideatori o, verosimilmente, per aver esplicitamente messo i veneziani di fronte alle proprie responsabilità, questa volta il progetto Venezia Morta ha collezionato in poco più di 48 ore migliaia di visualizzazioni nei propri canali e social network, grazie al video “Venezia 2030”.
Nell’ironico filmato promozionale, l’attrice Flavia Imperato -che non fa parte del gruppo- passeggia per le calli della città d’acqua, naviga tra i canali e solca la laguna in barca, magnificando quella Venezia che, dopo dieci anni di pandemia, sarebbe alla fine diventata un parco archeologico pronto ad accogliere quanti più visitatori possibile.
Ma la città che scorre nelle immagini è quella di oggi, con alcuni dei luoghi simbolo dell’isola e della laguna raccontati dalla protagonista, dal Teatro Anatomico agli ex gasometri, dall’Orto botanico all’Arsenale, dall’ospedale al Mare all’oasi degli Alberoni, già oggetto di quelle trasformazioni monotematiche dedicate all’accoglienza turistica.
Ristoranti, alberghi, case in affitto e ancora parcheggi, grandi navi e tour giornalieri sempre uguali a se stessi non fanno parte di un futuro distopico, ma di una visione, attuale e ben chiara, che la pandemia ha solo messo in standby. Per i giovani di Venezia Morta, insomma, non c’è bisogno di attendere il 2030: perché Venezia, un parco archeologico, lo è già.
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