lunedì 11 maggio 2020

PORTO, A TRE MESI DALLA MANIFESTAZIONE IL PROTOCOLLO FANGHI È FERMO. GLI OPERATORI SCRIVONO A ROMA: «FATECI SCAVARE I CANALI»

Sono trascorsi tre mesi dall'imponente manifestazione portuale di Venezia, lo scorso 13 febbraio, con la firma del manifesto che chiedeva risposte certe per quanto riguarda il flusso delle navi in arrivo, le commesse, la capienza e i pescaggi, a partire dall’imminente protocollo fanghi. Ma ancora nessuno di questi passaggi è stato compiuto: se ne rammarica Alessandro Santi, presidente di AssoAgenti Veneto e vicepresidente di FederAgenti nazionale, durante una videoconferenza con il network Azzurra.

«Eppure già il pomeriggio stesso - ricorda Santi - arrivò l'annuncio roboante da Roma: "Abbiamo risolto, c'è la soluzione, parte la nuova vita del porto!". Ma dieci giorni fa si è scoperto che il protocollo fanghi, dal quale la svolta avrebbe dovuto prendere le mosse, giace nei cassetti in quanto mancano i documenti relativi alla bonifica bellica. Ennesima prova che la burocrazia italiana sa essere estremamente pericolosa».
Il presidente Santi ha deciso così, assieme agli altri operatori degli scali di Venezia e di Chioggia, di scrivere una nota di protesta ai ministeri competenti e al presidente del consiglio dei ministri: «Chiediamo in primis l'escavo manutentivo dei canali fino a 8 metri, ripristinando le quote precedenti e non intervenendo su nuovi canali. Si tratta soprattutto del canale dei Petroli e di quello che dalla bocca di porto di Chioggia conduce a Val da Rio. Se oggi si scaricano 6mila tonnellate per ogni nave, se ne scaricherebbero 8-10mila».

Dopo un periodo di "responsabilità sociale", quindi, l'ambiente portuale fa la voce grossa: «Bisogna parlare di futuro - prosegue Santi - per questo chiediamo un incontro al governo. E sia chiaro: non vogliamo soldi, perché gli escavi di Chioggia e Marghera sono già finanziati dal lavoro del settore. L'ammontare di circa 23 milioni è pronto per essere speso, la caratterizzazione dei fanghi è già stata fatta, solo la burocrazia ci frena».

Eppure il porto continua a lavorare: «Anche marzo in effetti ha tenuto, soprattutto la logistica - spiega il presidente degli agenti spedizionieri - con il traffico di materie prime per la produzione, l'energia, le granaglie e anche i camici, i respiratori, le mascherine dall'estero. Aprile però è stato disastroso, complice anche l'effetto del blocco cinese con due mesi di anticipo rispetto all'Europa, oltre al fermo delle aziende italiane e delle loro esportazioni».

L'epidemia da Covid-19 è una circostanza che dimostra come - conclude Alessandro Santi - l'economia del territorio non possa essere vincolata solo alla "monocultura" turistica, che è volatile e troppo facilmente attaccabile, come si è visto. Bisogna invece volgere l'occhio ad altre attività, dai cantieri al porto: produciamo PIL, e quindi anche entrate per lo Stato».

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